FILOSOFIA POLITICA: DAL PENSIERO ANTICO AD OGGI
Arianna Locatello
What is political philosophy?

Political philosophy is a branch of philosophy that is concerned with the concepts involved in political opinion. It is the study of the theories behind politics. It may be viewed as one of the most important intellectual disciplines, for it sets standards of judgment and defines constructive purposes for the use of public power. In fact, the central problem of this branch of philosophy is how to deploy or limit public power so as to maintain the survival and enhance the quality of human life. It examines and interprets ideas like freedom, justice, authority and democracy, describing visions of the good social life, of what ought to be the ruling set of values and institutions that combine men and women together. Political philosophy, as distinct from the study of political and administrative organization, is closely connected to a question about human nature, it is more theoretical and normative than descriptive. It is inevitably related to general philosophy and is itself a subject of cultural anthropology and sociology.

La filosofia politica nel pensiero antico

Platone

La riflessione sulla politica di Platone è contenuta nella trattazione che ne fa nel dialogo "La Repubblica". Qui Platone profila uno Stato ideale, una città utopica dove vige la giustizia perfetta. Lo Stato utopico di Platone era diviso in 3 classi, che però non erano caste rigide. Alla base della piramide vi erano i Produttori, coloro che producono il bene necessario (contadini, artigiani ecc..). Secondo il "mito delle Stirpi", portavano dentro di loro una natura di tipo bronzeo o ferreo e avevano un'anima concupiscibile, succube degli istinti e dei desideri, controllata dalla loro virtù: la temperanza. Seguivano i difensori dello Stato (guerrieri) che avevano natura argentea, anima irascibile e il coraggio come virtù. Salendo ancora troviamo i reggitori dello Stato (politici), caratterizzati da una natura aurea e un'anima razionale, dominata dalla saggezza e dal logos . Al vertice si trova il Filosofo-Re che conoscendo l'idea del Bene può garantire buone leggi e amministrare la giustizia, permettendo ad ogni cittadino di esprimere le proprie capacità e la propria natura. Così si andava a delineare uno Stato armonico, in cui ognuno realizza se stesso.

Aristotele

La "Politica" è un'opera di Aristotele dedicata all'amministrazione della polis . Centrale è il riferimento alla natura: l'uomo è un "animale politico", e in quanto tale è portato per natura a unirsi ai propri simili per formare delle comunità. Diversamente da alcuni sofisti, secondo i quali la polis limita con le sue leggi la natura dell'uomo, per lo Stagirita lo Stato risponde ai bisogni naturali dell'individuo e, come afferma nelle primissime righe del Libro I, "ogni Stato è una comunità e ogni comunità si costituisce in vista di un bene". Inoltre è importante sottolineare che, a differenza di Platone, per Aristotele la politica ha una certa autonomia rispetto alla filosofia: il politico e il legislatore possono svolgere bene il proprio compito grazie alla loro saggezza pratica.

Medioevo, Illuminismo e Idealismo

San Tommaso D'Aquino

In maniera meno negativa di Agostino, che riteneva fede e politica inconciliabili, San Tommaso si esprime sulla questione della legge, teorizzandone quattro diversi tipi (eterna, divina, naturale, umana). Nella sua teoria è significativo il pensiero aristotelico e arriva quindi a definire una ricerca di equilibrio tra fede e politica.

Niccolò Machiavelli

Machiavelli fu il primo a separare la politica (quindi l'agire attraverso il potere) dalla morale (quindi l'agire secondo principi e valori riconosciuti giusti dalla comunità). Secondo Machiavelli la politica era a-morale (cioè priva di morale ma non immorale). Con lui la politica diventa una scienza vera e propria, che non segue più la morale religiosa ma ne ha una propria. Nella sua opera più nota, Il Principe, specifica che chi governa (cioè il Principe), non segue modelli assoluti per legiferare (Positivismo Giuridico), ma deve fare tutto ciò che è possibile perchè i sudditi vivano bene, anche mentire o uccidere. L'uomo virtuoso per Machiavelli è colui che riesce a trasformare ogni danno in una risorsa. Proprio da questo la famosa massima "il fine giustifica i mezzi". (La frase comunque non è di Machiavelli). Anche la Fortuna (la sorte) gioca un ruolo importante. è dovere del principe prevenire i colpi della sorte pur non conoscendola. è celebre la metafora del fiume soggetto a piene stagionali. Di certo il principe non può sapere se e quando inonderà le terre vicine, nè i danni che potrebbe causare, ma il probabile pericolo può essere evitato costruendo degli argini resistenti.

Dopo "l'empirismo" di Machiavelli intervengono tre modelli utopici, quelli di Tommaso Moro, Tommaso Campanella e (in parte) Francesco Bacone.

Thomas Hobbes

Per Hobbes il potere politico doveva essere concentrato nelle mani di un sovrano assoluto o di un gruppo di uomini, questo perchè secondo lui nello Stato originario degli uomini (Stato di Natura) si è perennemente in guerra ("bellum omnium contra omnes") e non ci si può dedicare ad altre attività. Questa lotta di tutti contro tutti è dettata da un istinto di sopravvivenza e uno spirito di autoconservazione. A questo punto è l'uomo stesso a decidere di porre una persona a regolare lo Stato di Natura, trasferendogli tutti i poteri attraverso un Contratto Sociale. A capo dello Stato vi è un tiranno, che esercita il suo potere con violenza, forza e coercizione, identificato con il Leviatano. Esso non ha alcuna pretesa nei confronti della vita morale e dell'attività economica dei cittadini. Il suo assolutismo riguarda solo la sfera politica.

John Locke

John Locke invece è contrario al potere assoluto, teorizzando la fondazione di uno Stato Liberale. Ciò deriva quindi da un diverso modo di concepire l'essere umano. Egli infatti ne ha una visione positiva. Sosteneva che nello Stato di Natura bastava che venissero assecondati i diritti dell'uomo senza alcun bisogno di un tiranno, per questo viene considerato il padre del Liberismo. Nello Stato di Natura gli uomini vivevano senza un corpo di leggi definito, e vivevano in pace, tranquillamente, preoccupandosi esclusivamente della propria sussistenza e del proprio benessere. Così come ipotizza Hobbes, anche nella costruzione lockiana l'uomo nasce libero e uguale agli altri, ma la grande novità è che non possiede più quel connotato, quasi infernale, di "homo homini lupus" che gli era stato attribuito in precedenza. Ha certamente istinti egoistici ma prova anche compassione e altruismo per il prossimo. Tuttavia, sebbene gli uomini vivano pacificamente, è possibile che certi uomini trasgrediscano la Legge di natura (la pace non è garantita), ed è qui che nasce la Legge Civile, ovvero il contratto secondo il quale i diritti individuali vengono garantiti da un'autorità pubblicamente accettata ("rule of law", o stato di diritto). Infatti, nello stato di natura, ogni uomo è giudice di se stesso: la giustizia è dunque soggettiva e quindi manca un giudice neutrale e obiettivo. Locke ritiene, al contrario di Hobbes, che il sovrano stesso sia parte integrante del contratto e quindi che non possa essere considerato al di sopra della legge; non può violare i diritti naturali di alcun individuo e non si può porre in una condizione assolutista.

Montesquieu

Filosofo per eccellenza della moderazione, Montesquieu è il padre del principio della divisione dei poteri; ad egli si deve la teoria della tripartizione dei poteri (potere legislativo, esecutivo e giudiziario) arrivata fino ai giorni nostri. Il punto di partenza della sua riflessione è la definizione del Diritto Naturale: per Montesquieu le leggi naturali sono rapporti necessari tra una serie di elementi costanti; il diritto naturale è dunque invariabile ed eterno proprio perchè riguarda caratteristiche proprie dell'essere umano. Montesquieu riprende la tripartizione già presente in Aristotele e Platone, identificando tre tipi di governo: la repubblica, che si presenta in due forme diverse, quella più aristocratica e quella più democratica; la monarchia, governo di una sola persona; e il dispotismo o tirannia, regime in cui governa sempre una persona, ma nella totale assenza di leggi.

Voltaire

Voltaire rifiutava tutto quanto apparisse irrazionale e incomprensibile e sollecitava gli uomini del suo tempo a lottare contro l'intolleranza, la tirannia e la superstizione. I cardini su cui si reggeva la sua etica erano la libertà di pensiero e il rispetto per ogni individuo per questo, in ambito politico, Voltaire difese il diritto di ogni cittadino alla libertà civile e politica (in primo luogo alla libera espressione delle proprie idee), in contrapposizione a un assolutismo dal quale egli non si attendeva ormai più alcuna collaborazione. I diversi aspetti della polemica illuministica di Voltaire trovano quindi il loro centro unificatore nella difesa della tolleranza come valore imprescindibile per garantire pace, giustizia e progresso civile.

Jean-Jacques Rousseau

Più che ritenere l'uomo primitivo veramente buono o virtuoso, Rousseau lo reputa innocente, nè buono nè cattivo perchè segue solo il suo istinto e l'istinto è considerato da lui amor di sè. Rousseau sostiene che nello stato di natura gli uomini vivono felici perchè sono tutti uguali ed avevano tutte le proprietà in comune. La disuguaglianza fu introdotta dalla proprietà privata, nel momento in cui l'uomo spinto da un istinto di cupidigia e di rapina per la prima volta circondò con un recinto un pezzo di terra e disse: "Questo è mio", vietandone l'uso agli altri. Il Contratto Sociale propone di ricostruire ex novo la società sulla base di un patto, perchè per natura nessun uomo ha diritto di esercitare una qualsiasi autorità su di un altro. Solo il consenso dell'altro può autorizzare ad esercitare la sua autorità su di lui e il patto è appunto l'espressione di questo consenso. Così ciascun individuo cede tutti i suoi diritti a tutti gli altri e nessuno viene a trovarsi in una condizione superiore agli altri perchè nessuno conserva il benchè minimo diritto. Il corpo sociale nato dal patto di unione è, secondo Rousseau, il popolo e solo il popolo è titolare della sovranità cioè è il legittimo sovrano e detiene la totalità del potere. Con questa dottrina Rousseau è diventato il teorico di una forma più radicale della democrazia, detta totalitaria e diretta, da cui è esclusa qualsiasi forma di rappresentanza perchè tutti i cittadini concorrono direttamente alla formazione della volontà generale, partecipando all'assemblea del popolo.

Immanuel Kant

Kant analizza l'uomo e in lui trova una tendenza egoistica, ovvero una insocievole socievolezza: gli uomini tendono a unirsi in società, ma con una riluttanza a farlo davvero. Essi si associano per la propria sicurezza e si dissociano per i propri interessi. Ma è proprio questa conflittualità a favorire il progresso e le capacità del genere umano, perchè gli uomini lottano per primeggiare sugli altri. Secondo Kant, il diritto consiste nella limitazione della libertà di ciascuno alla condizione che essa si accordi con la libertà di ogni altro. La libertà di ognuno coesiste con la libertà degli altri. Ovviamente l'uomo kantiano non può non avere bisogno di un padrone, ma il padrone non è un altro uomo, bensì il diritto stesso. Kant conosce le tesi di John Locke sul liberalismo ed anch'egli afferma che lo Stato mira a garantire la libertà di ogni persona contro chiunque altro. Lo "Stato repubblicano" che delinea si basa su "Tre principi della ragione": libertà, uguaglianza di tutti di fronte alla legge, indipendenza dell'individuo in quanto cittadino.

Johann G. Fichte

Fichte sostiene che il diritto, a differenza della moralità, vale anche senza la buona volontà. I diritti originali dell'individuo, libertà, proprietà e conservazione, devono essere garantiti dallo Stato. Tale prospettiva individualistica, che avvicina Fichte allo schema politico liberale, trova una sua correzione nello Stato commerciale chiuso (1800), nella quale egli afferma che lo Stato non deve limitarsi solo alla tutela dei diritti originari, ma deve anche favorire il benessere. Per svolgere il suo compito, lo Stato deve organizzarsi come un tutto chiuso, senza contatti con l'estero, sostituendo l'economia liberale e il commercio mondiale con un'economia pianificata e l'isolamento degli Stati.

George W. F. Hegel

La filosofia politica di Hegel la si può considerare come espressione di idee liberali e di entusiasmi per l'esperienza rivoluzionaria francese. Si può dire che Hegel è il filosofo della contraddizione, che è particolarmente evidente nel caso del rapporto tra individuo e Stato. Hegel nei suoi scritti fa una vera e propria apologia dell'individuo come pure dello Stato che permette agli individui lo sviluppo più libero e, nello stesso tempo, più perfetto e completo. Egli ha pensato ad uno Stato imperniato su una legge di fronte alla quale tutti dovrebbero essere eguali, su una legge che s'impone a tutti. Per Hegel lo Stato non può nascere da un contratto e il delinquente deve essere punito con una pena corrispondente al delitto compiuto.

Karl Marx

Il pensiero di Marx fu fortemente influenzato dal Socialismo che, nell' '800 mira alla giustizia sociale che si raggiunge con la socializzazione dei mezzi di produzione per sorpassare il concetto di proprietà privata. La società di Marx è dominata dal conflitto di classe che vede contrapposte la borghesia in possesso dei mezzi di produzione e il proletariato. Ed è a causa dell'organizzazione capitalistica della società che questa crollerà, secondo Marx. Nell’attesa del crollo del Capitalismo, egli invita i proletari ad organizzarsi in un partito, quello comunista, e ad abituarsi alla lotta di classe cosicchè al momento del crollo sarà pronto a governare. Tra il crollo del Capitalismo e il governo comunista vi è la dittatura del proletariato. Nella prima fase di questa (fase socialista) lo stato deve sconfiggere il nemico nella lotta di classe e cambiare i mezzi di produzione responsabili dell'alienazione. Nella seconda fase contiene la vendetta di classe e il Comunismo vero e proprio.

La filosofia politica nel pensiero contemporaneo

Karl Popper

Popper critica il pensiero politico sia di Hegel che di Marx imputando loro l'errore di pretendere di conoscere il corso del futuro della storia, svuotando così inevitabilmente il presente di responsabilità morale. La loro diviene dunque una visione utopica che nasconde una componente di violenza e di prevaricazione che si concretizza nella nascita di una società totalitaria. All'utopia Popper contrappone l'ipotesi di una società aperta, retta da istituzioni democratiche autocorreggibili, fondate sulla libertà, sul dialogo e sulla tolleranza.

John Rawls

La teoria neocontrattualistica di John Rawls pone l'accento sul fatto che per decidere su quali principi la società debba regolarsi, sia in qualche modo necessario un accordo, condividendo non un principio ma una procedura (il cosiddetto velo di ignoranza), che permette di trovare un accordo che è un patto sui principi di giustizia che devono regolare la nostra società. In particolare i princìpi sono due, quello di massimizzazione della libertà e il principio di differenza. John Rawls realizza così una teoria della giustizia basata sull'equità, fondendo insieme tra loro i due grandi termini del vocabolario politico della tradizione democratica: libertà ed uguaglianza.

I Contrattualisti

Nell'epoca contemporanea la filosofia politica, oltre ad occuparsi secondo schemi tradizionali dello studio dello Stato (inteso come centro del potere politico), analizza e studia tutto ciò che riguarda il pubblico e in questo senso anche problemi di natura sociale ed economica. In particolare Salvatore Veca, è fautore di una teoria sulla giustizia, intesa come giustizia globale, ovvero un ripensamento cosmopolitico e sovranazionale delle logiche politiche moderne (basate su legalità, costrizione e monopolio della violenza). Contrapposta a questa visione contrattualista si erge invece la prospettiva di quanti, come Nozick, Rothbard e Hoppe propendono per il superamento di ogni struttura di potere centralizzato e egemone, e propongono - all'interno di un quadro concettuale libertario e liberale - un ordine policentrico e concorrenziale di agenzie protettive in libera concorrenza tra loro. Di importanza cruciale a proposito è la teoria liberale e anarco-individualista di Rothbard.

La politica oggi: parlano i giovani

INTERVISTA AI GIOVANI D'OGGI: I GIOVANI E LA POLITICA

Quanto ne sanno i giovani di oggi di politica? Pensano che sia un argomento che li riguardi? Che idea hanno della politica italiana? Ci sono giovani intenzionati a "fare politica"? Per rispondere a queste domande ho effettuato una sorta di sondaggio-intervista ad un campione di 50 giovani di età compresa tra i 15 e i 18 anni. Ho posto loro cinque domande molto semplici che prevedevano risposte brevi.

Alla prima domanda, più del 90% degli intervistati ha risposto in maniera affermativa. La risposta non prevedeva alcun tipo di descrizione del concetto di "politica".

Più del 75% degli intervistati risponde "no", "assolutamente no", "per niente".

La terza domanda prevedeva una risposta aperta da parte dell'intervistato. Riporto qui un elenco delle risposte più frequenti.

"Perchè i giovani non si interessano alla politica?"

  • "La trovano noiosa".
  • "Ne hanno una visione negativa".
  • "Si interessano ad altro".
  • "Pensano che non li riguardi".
  • "Non capiscono che è una cosa importante" .
  • "Pensano che sia da adulti".
  • "Ci sono troppe cose nella vita dei giovani, non hanno il tempo di farsi un'idea".
  • "Se ne fregano".

La quarta domanda riguardava in maniera diretta la politica italiana. Ho chiesto agli intervistati: "Se ti dico politica italiana che cosa ti viene in mente?".

Le risposte sono state (in grassetto le parole più utilizzate):

  • Soldi
  • Disorganizzazione
  • Corruzione
  • Governo
  • Ingiustizia
  • Egoismo
  • Squilibrio
  • Incoerenza
  • "Occasione persa"
  • Incapacità di agire
  • Non c'è rispetto
  • Mancanza di serietà
  • Divisione
  • Opposizione
  • Popolo
  • Leggi
  • Polemiche su polemiche

L'ultima domanda:

Questo è forse il risultato che più stona fra tutti quelli ottenuti: a quasi il 50% degli intervistati piacerebbe entrare in politica. Com'è possibile che gli stessi studenti che poco prima si dichiaravano del tutto disinteressati alla politica e che descrivevano quella italiana come "ingiusta", affermino che lavorare nel mondo della politica sarebbe "interessante", "utile", o addirittura "divertente"? Di fronte a questa incoerenza con i risultati ottenuti nelle prime domande ho chiesto ad alcuni degli intervistati di motivare la loro risposta. Di questa percentuale, quasi il 100% ha risposto:

"Entrerei in politica per i soldi che farei".

BIBLIOGRAFIA: